Come tutte le tangibilità umane, l’architettura è particolarmente vulnerabile ed è soggetta ad una prospettiva temporale che ne modifica gli assetti ed il destino; in montagna poi la concretezza del costruito si sottopone alle intemperie del clima ed all’inclemenza del calendario che in quota è particolarmente severo in tema di conservazione dei manufatti dell’uomo.

Nel secolo scorso uno sguardo differente verso la natura ha letteralmente inventato la montagna che, da ambiente intonso e periglioso, è divenuta il teatro dove mettere in scena il futuro paesaggio dedicato alle vacanze pianificate e dove ambientare con efficacia l’inedita tendenza industriale della produzione di elettricità, orientamento questo che almeno tentò di lasciare sulle Alpi qualche buona testimonianza; vedere al riguardo le centrali idroelettriche e i tanti villaggi elettrici montani, ancora oggi funzionanti ed in larga misura ben conservati e custoditi.

In questo paesaggio che può apparire ironico definire infinito, non è arduo trovare sparsi resti dell’umano costruire; in un contesto così fragile e malato come quello alpino, la rovina non diventa semplicemente vento marimane un ingombrante lascito di un fare umano frettoloso e superficiale, in grado di inanellare in così poco tempo una lunga messe di strutture ricettive abbandonate o di impianti di risalita dismessi, oggetti trovati (anzi, persi) che giacciono a prender polvere in estate e neve e ghiaccio nelle stagioni fredde, in un macabro gioco imitativo con quella natura che in passato li accolse.

La Lombardia ed il suo territorio montano non fanno eccezione: solo a titolo esemplificativo, possiamo citare i ruderi degli impianti sciistici dismessi di Colere, Lizzola, Ardesio, Chiesa in Valmalenco, la mancata funivia del Monte Sighignola a Lanzo d’Intelvi che lascia sul terreno lo scheletro della stazione di testa, la ferrovia dismessa nel 1967 in Val Seriana; impianti dismessi e dimessi, abbandonati ma non rimossi dai crinali, talvolta sostituiti da altrettanti più moderni costruiti qualche centinaio di metri più in là.

E ancora la desolante solitudine di villaggi come Pian dei Resinelli, un tempo località considerata frequentabile tutto l’anno ma che oggi che vive veri momenti di difficoltà, testimoniata dalle tante case chiuse immerse nella tipica desolazione del non-luogo; in tal senso la questione della seconda casa, usufruita per brevi periodi di tempo, porterebbe ad altre e più profonde riflessioni sulla tematica dell’architettura per le vacanze.

Più in generale l’arco alpino presenta una preoccupante serie di testimonianze di un turismo che è letteralmente fuggito lasciando dietro di sé villaggi silenziosi e case vuote; assordanti indizi che rendono ancora più rumoroso il silenzio in cui si spengono lentamente in un tramonto non programmato.

Senza abitanti il deserto vive, al contrario i luoghi montani abitati si spengono se vengono abbandonati, perché verrebbero presto travolti dagli eventi naturali con cui oggi il residente convive: la civiltà del montanaro ha trasformato la cultura del vivere, un tempo marginale ma efficace, in un potenziale senso di eternità.

Ma nessuna opera dell’uomo è eterna; solo l’arte lo è nella misura in cui trasmette nel tempo la validità di un oggetto o di un’azione creata per durare e trasmettere il proprio valore e messaggio per sempre, ma una rovina non può essere programmata per diventare tale.

Una rovina non è l’avanguardia di nulla.

Luciano Bolzoni