Il mio amico Francesco Cassol

Francesco è stato assassinato da un bracconiere. Lo chiamo Francesco perché i giocosi pomeriggi passati da ragazzi all’Oratorio di Mussoi, autorizzano ad omettere gli eventuali titoli che in futuro la vita assegna a ciascuno di noi.

Ma questo delitto non è una tragica fatalità o un incidente di caccia. E’ semplicemente figlio dell’illegalità che si sta impadronendo della nostra vita quotidiana, è figlio dell’impunità ormai legalizzata dal nostro diritto, perché cacciare di frodo una specie protetta, in una zona di divieto assoluto con il periodo di caccia chiuso è un’azione che chissà quante volte viene impunemente ripetuta in quella ed in altre zone, comprese le nostre.

In questo caso però non può essere anche un alibi.

Prendiamone atto senza ipocrisia e senza frasi di circostanza. Il rimorso ufficializzato dall’assassino, con l’assistenza dell’avvocato (era più credibile un prete), è un atto di opportunismo calcolato per ottenere la complicità della giustizia e delle leggi pro-delinquenti emanate dal Parlamento da noi eletto. Gli “arresti domiciliari” significano che uno se ne sta a casa sua, che restrizione è se rapportata al delitto commesso? Tutto questo sarà legale ma non è civile.
Non è difficile prevedere che il suo esecutore se la caverà con qualche mese di carcere, forse, e qualche sanzione pecuniaria. Anche la Chiesa lo perdonerà e, penso, Francesco l’abbia già fatto perché la Fede lo impone e non potrebbe essere diversamente.
Ma Francesco è morto e non ci potranno essere sentenze terrene o perdoni divini che laveranno la coscienza di questa società in costante ed irrefrenabile declino.


Arnelio Giovanni Bortoluzzi