Anteprima.
Nonno paterno

In data 08 febbraio 2021 ho dovuto tagliare quattro faggi secolari piantati da mio nonno paterno, che non ho mai conosciuto, morto 16 anni prima che io nascessi. Quando una persona pianta un albero è perché ritiene di avere un futuro attraverso i suoi eredi. Ero affezionato a questi faggi ma era giunto il momento di abbatterli sia per il pericolo di caduta, erano pure vicini alla strada, sia per raggiunti limiti...di età. Basti pensare che uno di loro aveva un diametro alla base di 95 cm ed era alto oltre 30 m.

Operazione taglio.
Per tagliare alberi di queste dimensioni ci vogliono i professionisti del mestiere, attrezzati, di grande esperienza e organizzazione. Il problema è che queste figure per quattro alberi non si fanno trovare al telefono e, quando lo fanno, rispondono con un mal celato tono di seccatura:
"No 'l pensarà mia che par quatro piante mande omi e machinari? Salo cossa che me costa?"
No, confesso che non ci avevo mai pensato, né ai "omi" né ai "machinari" e nemmeno ai costi che avrebbe dovuto sostenere, ma non pretendevo che lo facesse gratis. Grazie comunque, ma il problema resta.
Comincio così a "svolazzare" come l'upupa Foscoliana alla ricerca di una ditta da impietosire. Pellegrinaggio vano, non trovo nessuno. Non mi arrendo e tento, deciso più che mai, la via della raccomandazione approfittando di un mio caro vecchio compagno di scuola. Nel paese dove vive c'è una ditta all'altezza del compito. Lui è molto stimato e conosciuto non potranno dirgli di no. E così fu, la ditta si dice disponibile ma...solo perché è lui. A me va bene, ai faggi anche.
Non ho voluto assistere al taglio, mi riferirono che l'esecuzione fu perfetta. Circa 450 quintali giacevano al suolo come fossero stati posati. Mi ero raccomandato, su suggerimento dell'amico di grande esperienza Dario Schiocchet, che le "taje" per ricavare le tavole fossero lunghe non più di 3,5-3,6 m e, per il momento, messe in disparte. Non sapevo ancora come impiegarle, ma volevo evitare a parte della legna la destinazione stufa. Il capo boscaiolo mi congedò così:
"Architeto, al varde che sono un po' marce...con sti fagher qua no se fa mobili e gnanca pavimenti! L'e massa dur e nervoso, comunque mi ghe le porte in segheria, al vedarà lu..."
Ho preso atto del suggerimento, ma oramai ero deciso. A colpi di raccomandazioni sono riuscito a ricavare le agognate tavole dallo spessore di cm 5 e depositarle nel cortile di casa ben coperte, pronte per essere "cartellate" con spessore 5-6 mm. Pronte? Questo era quello che pensavo ma poi sono dovuto passare sotto le forche caudine dei falegnami perché, nel frattempo, avevo deciso di rifare le porte della casa paterna che si trova proprio sul limitare del bosco dove c'erano i faggi. Mi piaceva l'idea di trasformare il faggio piantato da mio nonno, da legna da ardere a porte massicce e lasciare in casa una sorta di testimonianza storica.

I falegnami.
Il primo falegname lo contatto al telefono, gli avevo appena fatto fare delle porte per un cliente. Aveva lavorato bene e nei tempi concordati, aveva anche appena comperato un "refendin" usato per "cartellare" le tavole. Lo chiamo:
"Ciao, avrei bisogno di parlarti perché dovrei fare delle porte..."
Mi interrompe subito:
"Ho da sentir al me colega de Castion parché son senza patente... dunque ades a l'è le undese e vinti...sììììì... te ciame dopo magnà verso le doi, doi e meda..."
Era il 5 ottobre del 2022 e ancora non ha chiamato.
Il secondo falegname: il signor Mmmmhh!
Lo porto a conoscenza delle mie intenzioni, il fratello aveva visionato le tavole.
"Architeto far roba massiccia co sto fagher qua? Mmmmhh! Al varde che 'l se move, parché al legno l'é 'n materiale vivo e 'l fagher a l'è bastardo!"
Ma, sorprendentemente, il fratello mi dice:
"Le fae mi le porte da 45 milimetri: taie le tole e po' le incrose e le incole, fae la cassa da 3 par aver pì lasco, ma prima le fae passar al forno parché ho vist che le ha tanti bis. Così son segur che no le se move..."
Non mi pareva vero: un falegname che mi seguiva con tanta sicurezza. Finito il ragionamento rivolse lo sguardo verso il fratello per condividere la scelta il quale commentò:
"Mmmmhh! Ocio parché le vien pesanti e no l'le dit che le tole stae ferme..."
A ogni Mmmmhh storceva la bocca fino a deformare il viso per rimarcare la sua perplessità.
Ma la decisione era presa, chiedo un minimo di preventivo che mi arriva dopo qualche giorno, lo confermo assieme a qualche "salvo di qua e salvo di là" e, nel giorno della posa in opera, pasto compreso, che in ogni caso non avrei mai negato. L'operazione "porte massicce" era cominciata.
Da qualche tempo volevo cambiare anche il pavimento della camera dei miei genitori. Un incendio aveva distrutto sia i mobili in ciliegio massiccio, sia il pavimento in bellissimi listoni di mogano. Venne rifatto in abete, oltrettutto posato male. Con tutto il faggio rimasto cominciai ad accarezzare l'idea di rifarlo. Dario Schiocchet mi supportava e mi sopportava in tutte le mie iniziative.
Torno dal falegname, gli espongo l'intenzione di rifare il pavimento con il faggio, ma lo vorrei massiccio da 20 millimetri:
"Mmmmhh! Architeto no 'l garantise parché sbrega... ghe consiglie de incolarlo sul multistrato, al vegne con mi che ghe fae vedar."
Mi porta in una zona della falegnameria e mi mostra una scala in costruzione, la guarda fiero:
"Questa no la se move, vedelo o incolà sot la cartela da 5 al multistrato da 11 e quando che 'l sarà incolà su la caldana del scalin questo starà fermo, ghe die mi..."
Combinazione volle che il pianerottolo della scala era proprio all'altezza dei miei occhi. Guardai la sezione descritta con enfasi dal falegname, mi sembrava un wafer alla vaniglia. Era esile, smunto mi dava l'impressione di essere fragile e che si potesse rompere con una semplice compressione. Inguardabile.
"Bello!- gli dissi mentendo senza pudore- proprio bello, ma io non vorrei incollarlo, vorrei fissarlo su listelli e riprodurre il "siolo" come la camera dei miei nonni, magari con l'incastro tra una tavola e l'altra con larghezza variabile..."
"Mmmmhh! Al se imbarca, mi ghe parece le tole ma non oi responsabilità se... par l'amor de Dio!"

La sfida.
I falegnami eseguono ciò che viene loro commissionato, il legno che si muove dopo la posa in opera è la loro ossessione. Il timore che la loro opera possa essere contestata, li ha indirizzati in esecuzioni standard, non c'è più creatività. Tutto il legno, mobili o pavimenti, è "imprigionato" tra multistrati e colle. I pavimenti quando vengono calpestati non risuonano più, non vibrano, sono tutti uguali. Non voglio un pavimento così, voglio il "siolo", una superficie viva che si muove senza fessurare.
Ho un'idea: nello spessore dei 20 mm, faccio fresare 15 mm sulle teste delle tavole per una profondità pari alla larghezza della tavola stessa, poi compenso quanto asportato con una tavoletta quadrata incollata con le fibre perpendicolari a quelle della tavola. Così sopra rimane la continuità delle fibre, mentre la tavoletta con le fibre ortogonali, dovrebbe impedire lo scorrimento che genera le fessurazioni. In sostanza le teste delle tavole sono formate per 15 mm dalla tavoletta che rimane sotto e per 5 mm, che restano a vista, dalla tavola. Espongo la mia idea a Dario Schiocchet, il quale tergiversa ma sostiene che sarebbe da provare, anche perché il costo del multistrato sta crescendo a dismisura e tornare al massiccio potrebbe essere conveniente. Ho deciso, il mio pavimento farà da cavia. Dario acconsente, lo metteremo giù noi due, o meglio, lo metterà giù lui e io lo assisto. Non mi resta che affrontare il falegname.
Dopo aver esposto la mia intenzione, aspetto la reazione:
"Mmmmhh! No so... me par che... podarie anca esar ma... Mmmmhh! Mi par farghele, ghele fae ma no oi che..."
Stavolta lo interrompo io:
"Mi prendo io la responsabilità, mi prepari le tavole. Se vuole pago subito così..."
"No architeto, gnanca par sogno, no l'è quel... a l'è che se par caso al dovesse..."
"Colpa mia, proviamo..."
La sfida è stata portata a termine, il pavimento è stato messo in opera con la tecnica stabilita, oltre alla bravura e alla competenza di Dario.
Ci vorranno quattro stagioni per valutare il comportamento del mio "siolo", fissato su listelli ogni 40 cm con viti e con la posa di pannelli di sughero tra un listello e l'altro.
Nel frattempo imperversano le previsioni:
Il primo falegname: ancora non ha chiamato.
Il falegname signor Mmmmhh!: "Mmmmhh! Vedon... qualche segnet al dovarie farlo."
Il fratello: "Bel a l'è bel, speron che 'l tegne, son curioso..."
Dario: "Secondo me non dovrebbe segnare."
Io sono sfinito, qualunque sia l'esito sarà quello giusto. Una cosa è certa: ho mantenuto vivo il faggio piantato da mio nonno e quando ci cammino sopra, rigorosamente scalzo, mi pare di camminare nella storia e questo era l'obiettivo più importante.
Arnelio Bortoluzzi