Le antiche costruzioni in legno: loro conservazione e riuso

Si sta diffondendo il riuso di edifici rurali dismessi per trasformarli in abitazioni permanenti o residenze turistiche o comunque in ambienti dove trascorrere brevi periodi di svago.

Ciò pone la questione della salvaguardia dei caratteri storici ed architettonici degli antichi edifici, i quali concorrono, con le singolarità naturalistiche, a formare la sostanza del paesaggio e quindi la principale motivazione turistica del territorio; tale salvaguardia parte oggi da nuovi presupposti, visto che il mantenimento d’uso agricolo e zootecnico (di per sé problematico) comunque non garantisce la conservazione delle antiche strutture anzi, le nuove modalità di gestione e conduzione delle aziende ne favoriscono l’alterazione e talora la loro perdita.

Il fenomeno del riuso può essere inquadrato nella propensione ad un tipo di turismo che non predilige la sistemazione alberghiera o il condominio o la seconda casa, legato ad un diverso impiego del tempo libero e ad una accresciuta sensibilità nella frequentazione di ambienti naturali.

Le Amministrazioni Comunali generalmente assecondano tale fenomeno riconoscendo ad esso una delle opportunità per favorire il presidio antropico delle zone abbandonate dalle pratiche agricole tradizionali e per ciò stesso esposte all’avanzata del bosco e conseguente inselvatichimento.

Nella montagna bellunese il potenziale espresso da migliaia di questi edifici, il loro ruolo nel connotare il paesaggio, il significato culturale della loro conservazione, il riscontro economico indotto dalla trasformazione (ancorché correttamente indirizzata), sono tutti fattori che richiedono e presuppongono un’efficace politica di regolamentazione, affinché il riuso non si traduca nella definitiva perdita degli edifici ancora esistenti.

 

Recupero degli edifici rurali in legno: come fare?

Il recupero degli antichi edifici rurali in ambiente alpino, negli ultimi decenni, è stato oggetto di innumerevoli studi e proposte operative. (1)

Tali esperienze se hanno dato un decisivo impulso all’affermazione di un nuovo orientamento culturale non altrettanto hanno influito sull’adeguamento – da parte dei Comuni – dei loro strumenti di gestione e controllo urbanistico.

Anzi spesso, proprio a livello comunale, si registra la contraddizione tra affermazioni di principio sulla necessità della salvaguardia e valorizzazione dell’eredità storica (giustamente vista, assieme all’ambiente naturale, come risorsa insostituibile per ogni programma di sviluppo) e la prassi edilizia corrente, dove prevalgono pratiche di cantiere nominalmente indicate di conservazione e restauro ma di fatto tali da riconsegnare gli edifici recuperati con un altro volto ed un’altra sostanza: il paesaggio che si voleva conservare risulta invece alterato ed esaminando il processo avvenuto si scopre la totale modifica della tipologia originaria, lo svuotamento degli interni e delle antiche intelaiature, la sostituzione dei materiali, l’alterazione dello schema strutturale e ciò anche dove gli elementi costruttivi  preesistenti svolgevano ancora a sufficienza la loro funzione.

La nuova sfida che si profila per i Comuni è di consentire il cambio d’uso da rurale ad abitativo, da abitazione rurale a residenza turistica, da produttivo agricolo a pertinenza per il tempo libero, senza cancellare i segni della cultura materiale stratificatisi in alcuni secoli di attività delle popolazioni di montagna, (ciò che presuppone la conservazione della materia antica e non la sua sostituzione) mantenendo integri, assieme agli edifici, i versanti e la morfologia dei prati/pascoli.

Tra le più esposte a trasformazioni irreversibili in conseguenza al cambio d’uso sono le costruzioni interne ai paesi (tipi isolati, aggregazioni e talora interi agglomerati che ne caratterizzano l’assetto microurbanistico), a causa della loro equiparazione agli insediamenti residenziali (2) con il conseguente obbligo dell’ottemperanza a requisiti dimensionali, prestazionali e statici richiesti per le nuove costruzioni.

Se, dentro i paesi, il processo di trasformazione dei rustici è tanto avanzato da far assurgere a valore testimoniale gli ultimi reperti, all’esterno, considerata la collocazione sparsa nel territorio, appare evidente l’incongruenza di un cambio d’uso che equivalga ad una disseminazione di residenze nel territorio, con l’estensione abnorme delle reti tecnologiche (acquedotto, energia elettrica, ecc.), l’incentivo all’inquinamento (raramente vi sarà la possibilità di collegamento alla fognatura o a sistemi di depurazione), il taglio dei versanti con strade veicolari ed il conseguente sfregio paesaggistico e incremento del rischio idrogeologico.

Sembra senza alternative la conservazione dei rustici dal loro riuso per scopi abitativi temporanei o per pertinenze legate al tempo libero; MA COME CONSERVARE?

Il recupero del rustico non potrà sottostare alle sole regole economiche alle quali soggiace l’imprenditoria immobiliare, non potrà essere visto solo come potenziale volumetrico, con la conseguenza di preoccuparsi del solo mascheramento esteriore; l’operazione edilizia dovrà caricarsi prioritariamente del valore etico-sociale e culturale del recupero; ciò richiede che i proprietari e committenti per primi siano consapevoli del valore aggiunto che questi edifici meritano.

Il rustico non si salva riproponendo (camuffato, ricostruito, adattato) l’aspetto visivo delle facciate; esso si salva solo nella totale comprensione della sua individualità, accettando di riusarlo per ciò che da esso stesso è consentito, con le sole integrazioni ed affiancamenti compatibili con la conservazione di tutte le sue parti costitutive. (3)

Gli Operatori pubblici più sensibili si sono ormai resi conto che non bastano le direttive dei piani regolatori con le loro prescrizioni letterali di concetti astratti a garantire la qualità degli interventi.

Soprattutto i Responsabili degli Uffici Tecnici Comunali chiedono indicazioni di dettaglio specifiche e puntuali, traducibili in schede/prontuario, fino agli aspetti tecnologici e costruttivi più minuti, sulle quali confrontare le richieste dei cittadini ed esplicitare meglio eventuali prescrizioni per il rilascio delle prescritte autorizzazioni.

Parallelamente va avviata una costante azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica azione tanto più efficace quanto più sarà continuativa fornendo ai vari soggetti interessati un adeguato punto di riferimento (4); la riappropriazione delle modalità costruttive originarie e la verifica dei limiti di trasformabilità compatibile con la conservazione richiederà un maggiore impegno nell’informazione/formazione degli attori che, a vario titolo, intervengono nel processo di riuso, fornendo ad essi un metodo che faciliti la comprensione (costitutiva, costruttiva, tecnologica, storica) dei manufatti e che determini l’accumulazione di informazioni, che deriva dalla continua variabilità delle situazioni tipologiche in essere a fronte – viceversa – di un ridotto repertorio di metodi costruttivi e di un ancor più limitato uso di materiali; tanto più è necessario questo livello conoscitivo quanto più il nuovo uso richieda l’inserimento/affiancamento di nuovi elementi costruttivi ed impiantistici.

La riappropriazione dei valori storico/culturali insiti in questi fabbricati da parte dell’intera comunità sarà favorita dall’apporto di interesse conseguente alla loro “scoperta” da parte delle giovani generazioni.

 

Situazione esistente e azioni proposte

Per la montagna bellunese le costruzioni rurali in legno sono esemplificate nelle case di Sappada e del Comelico e nelle stalle/fienili diffusi in tutte le vallate, ma con particolari connotazioni di densità, oltre che nel Comelico, nell’Agordino, nella zona Fodom e nello Zoldano; si tratta di un patrimonio i cui esempi più antichi risalgono al XVII secolo.

Queste costruzioni – per lo più dismesse in conseguenza all’abbandono delle tradizionali attività agricole o perché non più funzionali all’uso – da decenni attendono adeguati interventi di manutenzione e lo stato di degrado che ne consegue sembra annunciare la loro imminente perdita.

L’abbandono e il sottoutilizzo di queste costruzioni, nel tempo, ha comportato un allentamento del valore loro attribuito, quasi un disconoscimento della loro identità; un ricordo di fatiche e di miseria per le generazioni più anziane ed oggetti avulsi dalla realtà contemporanea per i più giovani.

Ciò ha favorito e sta favorendo la svendita di questi manufatti; gli acquirenti sono per lo più abitanti delle città e della pianura desiderosi di accaparrarsi una fetta, se pur piccola, di montagna, alla quale molti associano, come emblema, l’immagine del rustico in legno.

Il riattamento e la trasformazione seguono poi logiche totalmente avulse dall’oggettiva individualità tipologica; sul carattere costruttivo, dimensionale e materico prevalgono azioni imposte da norme di igiene, da regole statiche e requisiti climatici, normalmente usati per la nuova edilizia, mentre la particolarità di queste costruzioni richiede scelte opportune ed oculate.

Inoltre, per questi lavori, non sempre le maestranze hanno specifiche capacità per il restauro e la lavorazione del legno, essendo per lo più addestrate nei cantieri dell’edilizia corrente; a ciò si aggiungano una serie di impulsi di derivazione consumistica a condizionare le esigenze del nuovo utilizzatore del rustico che, di norma, non si avvede della contraddizione tra l’aspirazione iniziale al godimento di un autentico ambiente di montagna e quello che è il risultato finale della sua intrapresa.

Attualmente tutti i Comuni dispongono di piani regolatori e di regolamenti edilizi con normative specifiche preordinate al recupero degli edifici rurali; tutti dispongono altresì di censimenti puntuali con catalogazioni più o meno approfondite; ciò nonostante, come sopra evidenziato, la pratica del recupero, quando viene attuata, è tutt’altro che soddisfacente.

All’enunciazione di nuovi principi e obbiettivi del recupero dovrebbero seguire esempi concreti; a tale scopo qualche Ente ha avviato il restauro di singoli edifici con destinazione museale (casa Cretta a Sappada, Tabià in Comune di Vallada, Casa Museo a Costalta), manca però, tutt’ora, l’indicazione ad un diverso approccio al riuso del rustico, soprattutto per la generalità dei casi privati.

Tra gli ostacoli (oltre alle normative di livello superiore, ai frazionamenti delle proprietà, all’incidenza economica) vi è l’asserita impossibilità o difficoltà al riuso conservando contemporaneamente le antiche strutture.

Nel workshop di Selva il gruppo di lavoro “residenza” formato dagli architetti Alessio Bortoluzzi, Amelia Cassol, Luca Mares, Daniela Zambelli, ha assunto tale problematica e i principi sopra delineati fornendo (pur nel condizionamento dell’insufficiente tempo di elaborazione concesso) una significativa proposta di intervento. 

 

NOTE

 (1) Si vedano tra gli altri:

  • AA.VV. in “Progettare nello spazio alpino” (a cura di M. Mamoli) VI/2001
  • AA.VV. in “Paesaggi in verticale” (ed. Marsilio 2006)
  • Testi e bibliografie dagli stessi riportate.

(2) I P.R.G. hanno ancora la caratterizzazione prevista dal D.M. 2 Aprile 1968 e tali aree sono distinte in Zone A (di carattere storico, artistico, o di pregio ambientale), Zone B (totalmente o parzialmente edificate diverse dalle A), Zone C (destinate a nuovi insediamenti).

(3) Contributi del progetto Alpcity della Regione Veneto, riassunti in “Tabià – recupero dell’edilizia rurale alpina nel Veneto – 2006”.

(4) E’ ormai largamente sentita l’esigenza di un punto di riferimento per la conoscenza e sviluppo dell’”architettura in ambiente alpino” che abbia come scopo lo studio dei processi di antropizzazione del territorio, di comuni regole dell’architettura e della morfologia insediativa dei villaggi; sia riferito all’eredità storica che al fare edilizio contemporaneo. Tale struttura, identificabile in un possibile “ISTITUTO PER L’ARCHITETTURA ALPINA”, va intesa come assetto organizzativo che, sfruttando le potenzialità di collegamento informatico e di interfaccia con realtà consimili già esistenti o in via di allestimento in numerosi centri alpini italiani ed esteri, possa divenire punto di riferimento per attività di ricerca e promozione.

L’istituto potrà provvedere alla ricerca, elaborazione e coordinamento di attivitá relative al tema del costruire in montagna; centro per la informazione e la consulenza in architettura, per l’edilizia storica e tradizionale, per l’edilizia tecnica (strade, tunnel, centrali idroelettriche ecc.), per la gestione ambientale e urbanistica nelle alpi. L'Istituto- immaginato come istituzione virtuale con la sua rete di contatti e collaborazioni -  può essere una piattaforma, coordinatrice e promotrice di eventi ed attivitá, sviluppate su questa tematica. L’Istituto potrà svolgere la sua attivitá in stretto rapporto anche con strutture universitarie e di formazione.