Lozzo ha un nuovo edificio, un edificio che si distingue, un edificio che da alcuni anni in questo luogo contribuisce ad una discussione intorno all'architettura ed alle sue forme.

Rispetto a questo il risultato di questo lavoro ha già raggiunto il suo scopo: l'edificio è sorto e si è mostrato e la gente, tutti noi, ne siamo rimasti coinvolti, ci siamo sentiti nella necessità di osservare, di capire, di riflettere, di commentare, di criticare.

Solo questo fatto, questo esito da solo basterebbe per essere certi che nel paese si è aggiunta una nuova architettura.
Ora l'edificio esiste e il mostrarsi, l'usare i suoi spazi determinerà una quotidiana contaminazione e nel tempo darà un contributo a formare la nostra idea di Lozzo.

E' questa la grave responsabilità del nostro mestiere, noi possiamo lavorare bene o meno bene, ma ciò che andiamo costruendo nel territorio resta e condiziona e influenza il modo di percepire lo spazio non solo per chi vive ora, ma anche per il futuro, per le future generazioni.

Vivere in uno spazio bello e adeguato aiuta nella crescita psicofisica e favorisce la creatività.

Ma cosa deve fare l'architetto, qual'è il suo compito specifico, il suo proprio, quello che nessun altro fa, visto che sono molti i fattori che condizionano il risultato finale e molti i mestieri e le competenze che intervengono in una costruzione; le case si fanno anche senza architetti.
All'architetto è richiesto di dare forma artistica all'edificio, forma artistica agli spazi, l'architetto deve tradurre in forme d'arte il bisogno di spazio per vivere e lavorare.
Abituati come siamo nel pesare il tornaconto pratico ed economico ci siamo forse dimenticati della componente artistica nel costruire ma è questo che lo trasforma in architettura.

E come lavora l'architetto ? Schematizzando nell'affrontare il progetto ha due strade:

  • una che presuppone l'adesione ad una propria teoria, ad un proprio modo di fare, quasi ad un modello che serve da base per ogni necessità;
  • un'altra che si propone di trovare sul posto i motivi e le regole per formare il nuovo progetto,

Questa seconda strada è l'adesione al contesto, è la capacità di ritrovare nella preesistenza le linee guida alla trasformazione, alla nuova costruzione.
E' come se – in questo caso l'edificio – la stessa preesistenza potesse dire: io posso essere questo e non altro; la capacità dell'architetto è di sentire questa voce.
Palazzo Pellegrini lo conoscete tutti. Il corpo antico dove ora ci troviamo è qui da circa 140 anni.
Fa parte della ricostruzione dopo l'incendio del 1867.
E' un edificio del "RIFABBRICO".
Con il rifabbrico si abbandonano le consuetudini precedenti, si riduce drasticamente l'uso del legno limitandolo ai solai, alle scale, alle coperture.
La nuova casa è un blocco squadrato con la caratteristica di disimpegnare le stanze da un unico grande corridoio centrale, con le rampe scala sul fondo e la ripetizione di questo schema ad ogni piano.
Il tetto perde il consueto timpano aperto che illuminava ed aereava la soffitta, e adotta invece la forma a padiglione chiuso, tuttalpiù con la presenza di abbaini o di un frontoncino di facciata, come in questo caso, con l'originale apertura arcuata e ovolo sovrapposto.
Le facciate presentano una disposizione ordinata, le aperture seguono uno schema su assi verticali e fasce orizzontali in simmetria sull'androne centrale; a volte le facciate sono comprese tra finti pilastri o bugne d'angolo, quasi sempre presentano un diverso basamento come a pal. Pellegrini, realizzato in finto bugnato.
Con il rifabbrico anche la stalla/fienile è in muratura – come era qui a pal. Pellegrini – con volume adossato a monte.
E al posto della stalla/fienile che l'arch. Boni progetterà il nuovo edificio che oggi si inaugura.
Ma qual'è l'artisticità del progetto?
Provo a dare un'interpretazione.
Secondo me Boni si è posto all'ascolto di pal. Pellegrini e ha sentita forte e chiara la sua voce.
Per questo nell'immaginare il nuovo volume anzitutto ha riconfermato il ruolo subordinato che già il vecchio fienile aveva nei confronti del palazzo.
Un volume contenuto che si arresta alla cornice di gronda del palazzo e non pretende di superarlo o di confonderne l'identità inglobandolo nella forma del nuovo edificio.
Il nuovo edificio si accosta al vecchio quasi con rispetto, quasi senza volerlo toccare, questo è il senso delle asole vetrate che lo separano.
Il vecchio fienile è configurato con la volontà di esibire la sua nuova funzione, il suo nuovo scopo, non vuole confondere ciò che c'era con ciò che sarà.
Il progetto si fa comunque guidare dal palazzo antico, nelle forme schematiche semplici, nel riproporre l'assialità centrale, nel seguire la simmetria.
In tempi nei quali l'artisticità sembra affidata alla stranezza, al complicato, alle pareti storte, al bizzarro sensazionale, Boni sceglie la massima razionalità ricercando il bello spogliando l'edificio di tutto il superfluo.
E' un razionalismo del bello che si fonda sul principio di economia.
Già il principio di economia presiede all'organizzazione degli spazi evitando ogni spreco, poi nell'uso dei materiali valorizzati per le proprie qualità; economia nel procedere del lavoro di cantiere come conseguenza del rispetto di un progetto/programma sviluppato in tutti i dettagli.
Ma l'idea che presiede al controllo della forma esprime quasi "un'economia di energia psichica in vista di una percezione delle proprietà spaziali e funzionali dell'edificio" (N. Ladovski).
Il risultato sembra a me perfettamente nello spirito del rifabbrico, del quale il tassello trasformato da Boni sembra quasi un completamento.
Ma - come il rifabbrico è stato un'imposizione autoritaria che di colpo ha radicalmente cambiato Lozzo - ugualmente si può dire di questo edificio? Ma la permanenza ultrasecolare dell'architettura del rifabbrico non è forse diventata tradizione ?
Nei nostri paesi, quando si parla di tradizione accade che ci si fermi a concetti astratti e superficiali immaginando che le costruzioni più adatte alla montagna siano quelle antiche precedenti al rifabbrico.
Ma se si analizzano con cura e senza preconcetti i numerosi reperti ancora esistenti si possono capire le ragioni di fondo, le più intime, che presiedono al modo di costruire dei montanari e che si possono riassumere in:

  • RISPARMIO
  • SEMPLICITA'
  • ESSENZIALITA'

Il tetto piano allora non è un tradimento, il tetto piano è la risposta più logica ai requisiti di risparmio, semplicità, essenzialità.
E' chiaro che il tetto piano non vuole essere una regola da proporre sempre e ovunque, ma è certo che in questo lavoro appare come la soluzione più logica e più utile al rispetto e valorizzazione del pal. Pellegrini.
Mi avvio alla conclusione ma vorrei ricordare un'altra questione.
Pal. Pellegrini è un edificio pubblico, come tale esige una sua propria riconoscibilità. L'architettura di un edificio pubblico deve porsi il compito della diversità ed importanza e ciò, possibilmente, deve emergere dentro l'uniformità del tessuto insediativo formato dall'insieme delle abitazioni e pertinenze del paese.
Qui il compito era gravoso, perchè la ristrutturazione e il nuovo ingresso si trovano a monte, sul lato opposto e contrario alla facciata principale del palazzo.
Si trattava di realizzare una controfacciata che prospetta sulla strada interna a monte.
Pochi sono gli elementi usati ma efficaci: due diedri bianchi uniti al centro dalla galleria vetrata che sovrasta l'ingresso e segue il principale percorso interno, diedri forati da quattro finestra circolari per lato.
La serie di oculi, evocando l'ovale della facciata principale, fa da coronamento alla nuova facciata, quasi un multiplo ribadire la prerogativa di centralità ed importanza del nuovo edificio.

Ringraziamenti e saluti.
Lozzo, 6 dicembre 2011
Flavio Bona