L’argomento sulla città di Belluno, sul suo futuro in particolare, non può lasciar indifferente chi svolge la mia professione.
Sono in attesa dell’invito del Sindaco, avv. Antonio Prade, per scambiarci dal vivo i rispettivi punti di vista sul parcheggio di Lambioi, o meglio quella che io ritengo la nuova porta della città di Belluno. Nessuna fretta, lo dico senza polemica alcuna ben sapendo che i suoi impegni e le incombenze amministrative quotidiane sono certamente più importanti di una chiaccherata con me a Palazzo Rosso.
Oggi leggo l’intervento dell’onorevole avv. Maurizio Paniz sul futuro della nostra città fra vent’anni. Il quadretto dipinto è piacevole, accattivante e sapientemente decantato. E’ tuttavia singolare come nell’articolo non appaiano mai le parole “architettura” e “urbanistica” le discipline che da oltre 2000 anni sono sempre presenti nell’attività umana e stanno all’origine della civiltà.

Premessa l’amicizia sia con Prade che con Paniz, provo a dare un contributo ed esprimere qualche concetto anche se entrerò in collisione di pensiero. Assodato che è compito della politica, possibilmente con coraggio e non solo con il consenso, scegliere e tracciare le linee di sviluppo e definire gli obiettivi amministrativi, è compito degli architetti ed ingegneri proporre idee ed indicare la strada da percorrere, attraverso la redazione di progetti e strumenti urbanistici appropriati per verificarne la fattibilità.
Il progetto architettonico non può essere solo un adempimento burocratico, ossequioso al potere, dal quale emerge quanto costa l’intervento, è un’opera intellettuale che valuta aspetti economici, tecnologici ed umani. La grande civiltà contadina, dalla quale tutti noi abbiamo origine, ci insegna come intervenire sul nostro territorio: 1°- non dobbiamo spendere di più di quello che abbiamo; 2°- si costruisce ciò che serve con i migliori materiali a disposizione; 3°- tutto il lavoro è in funzione della sopravvivenza e del benessere delle persone.

Noi abbiamo dimenticato questi insegnamenti, basta guardarsi attorno.
Da bambino partecipavo alla fienagione, il mio compito era quello di pulire il prato raccogliendo il poco fieno lasciato dagli adulti, in particolare quello sotto i cespugli e quello impigliato sui rami. Mi spiegava la nonna che con il fieno da me raccolto poteva mangiare un agnellino e forse anche due. L’impegno e la motivazione quindi erano massimi. Per i meno romantici questo significa sfruttare fino in fondo le risorse senza compromettere il territorio, per gli economisti significa far fruttare al massimo il capitale mantenendolo tale, per le imprese ed i professionisti poter reinvestire gli utili senza ipotecare il patrimonio. Per tutti l’impegno e le motivazioni devono essere massimi.
Dobbiamo quindi ripartire dai concetti della sana civiltà contadina nella consapevolezza che non si mantiene la tradizione copiando i poggioli, i tetti ed altre cretinate del genere, ma pensando un’architettura che produca nuove identità facendo quadrare i conti, impiegando i materiali migliori della nostra era tecnologica e tenendo sempre presente che operiamo per i fabbisogni e le peculiarità delle persone che non sono più quelle dei secoli scorsi e nemmeno un codice fiscale o un voto.

Riscoprire ed applicare i principi della civiltà contadina ci permetterà tra vent’anni di essere ancora orgogliosi della nostra città concretizzando e realizzando quelle che saranno le scelte politico-amministrative, ma se continueremo ad affidarci solo alle leggi dell’economia, reale o virtuale che sia, ai condoni, ai patteggiamenti ed all’indulto ho la sensazione che non saremo noi a scegliere i nostri destini e quelli dei nostri figli.
Forse il lettore si aspettava da me qualche idea, qualche scoop in linea con il messaggio lanciato dal Gazzettino, ma mi premeva ribadire il ruolo della politica e di questa arte umana chiamata architettura nel raggiungere determinati traguardi. Non voglio, come architetto, rischiare di confondere il concetto di “idea concretamente realizzabile” con quello di “desiderio”.
Il manifesto del recente Congresso Mondiale dell’Unione Internazionale degli Architetti è siglato da una frase di Albert Einstein, uno che nella sua vita qualche intuizione l’ha avuta. La pongo all’attenzione di tutti dal primo cittadino all’ultimo, ammesso che l’ultimo esista: “Non possiamo risolvere i problemi se non abbandoniamo il modo di pensare che li ha creati”.

Arnelio Giovanni Bortoluzzi