Correva l’anno 2005 quando, per la prima volta, siamo andati nella splendida Carinzia per l’ormai tradizionale viaggio annuo di aggiornamento professionale.

L’inizio è di quelli che non t’aspetti. Günther Domenig seduto sulla sua poltrona in mezzo al prato ad aspettarci e scrutarci negli occhi ad uno ad uno come un vecchio capo indiano, con il suo calumet, indeciso se dissotterrare o no l’ascia di guerra. Poi il volto si scioglie e comincia a parlare del suo grande amore: la Steinhaus, questa sua opera, un cantiere infinito, che da oltre 25 anni accompagna la sua mente tutti i santi giorni. E poi birra e würstel per tutti, mentre il lago sullo sfondo scandisce i ritmi primaverili con la brezza che rinfresca i volti sempre più accaldati dalla mai esaurita birra. Incredibile.

Considerato un burbero, scontroso al limite dell’insopportabile questo grande architetto accoglie questi attoniti italiani con un senso di amicizia che ancor oggi, racconta Birgit Androschin la nostra guida, lascia stupiti ed increduli i suoi collaboratori ai quali racconta l’accaduto. Il programma del viaggio, come da italica indole, è subito saltato travolto da questa tanto lieta quanto inattesa ospitalità. Nessuno guarda l’orologio, la visita si esaurisce per inerzia. Il libro con la dedica, poi tutti in corriera e via verso la Stiria.

Quest’anno siamo tornati alla Steinhaus, non all’inizio del viaggio bensì alla fine. In questi 5 anni i lavori sono stati completati, Günther Domenig torna raramente, è un luogo dove si svolgono incontri culturali ed eventi collaterali di vario genere. Sentite le spiegazioni preliminari, siamo entrati e cominciato a ruotare la testa per guardare quelle forme strane, quei fori incomprensibili di quella complessa struttura. Ma mancava qualcosa, forse quel disordine... organizzato e quella confusione... razionale che ruotavano attorno alla figura del “grande vecchio” apparso, con piglio attoreo, su un filmato di 15 minuti.

Mancava soprattutto l’atmosfera che solo la sua presenza può dare e, penso, che la Steinhaus senza Günther Domenig si riduce ad una semplice e formale architettura spiegata dalla guida di turno che, senza colpe, recita il copione a memoria.
Forse la Steinhaus immateriale finisce dopo essere stata materialmente finita. Forse.


Arnelio Giovanni Bortoluzzi

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