Prendo spunto dalle ultime note dell’arch. Bortoluzzi del 7 luglio 2009 che sostiene, a ragion veduta, che prima di discutere di paesaggio, territorio, ambiente sia oltremodo necessario un accordo sul significato delle parole. Tutto questo è emerso in modo molto evidente nel convegno “progetto e valorizzazione dell’ambiente alpino” che si è svolto il 24 aprile 2009 a Lozzo di Cadore, dove i diversi relatori (un filosofo, un naturalista, un architetto, un economista) hanno affrontato il tema dai diversi punti di vista con contributi e competenze specifici, a volte ascrivibili alla disciplina di cui si occupano e a volte alla diverse sensibilità con cui un tema complesso di questo tipo viene affrontato.

Una domanda mi è sorta spontanea alla fine del convegno: siamo noi che complichiamo le cose semplici con la nostra mania di dare nomi e organizzare cataloghi e codici per tutto? oppure è vero il contrario: i nomi, i cataloghi, i codici sono tentativi disperati di interpretare l’infinita complessità delle cose?
La distanza da cui le cose vengono guardate è spesso il fattore discriminante fra la semplicità e la complessità delle cose, ma alla domanda se esiste “una giusta distanza” penso che la risposta non possa essere che negativa. In altre parole ciò che da lontano risulta inspiegabile, se ci avviciniamo ad una certa distanza diventa semplice ma se continuiamo ad avvicinarci diventa nuovamente inspiegabile.

Tutti noi riconosciamo un prato e non abbiamo nessuna sorpresa se avvicinandoci
scopriamo che ciò che da lontano sembrava una macchia verde risulta composto da tanti fili
d’erba. E qui la maggior parte di noi si ferma mentre il naturalista, che il filo d’erba lo osserva più da vicino, riesce a dargli un nome e scoprire mille altre cose e relazioni ad esempio tra il tipo di erba e le diverse specie animali che popolano il prato come ci ha spiegato il dott. Michele Cassol nel suo intervento al convegno. Volendo approfondire ed andare ancora più da vicino sono sicuro però che anche il dott. Michele Cassol sarebbe arrivato ad un punto in cui non ha più nomi. Il semplice esempio dimostra come spesso usiamo le stesse parole per descrivere cose che guardiamo da distanze diverse e come spesso sia solo superficialità pensare che tutto sia semplice solo perché abbiamo smesso di cercare.

Dott. Ing. Piergianni Da Rold